Pensavo di poterti essere amico, di vegliare almeno una volta su di te, ma da chi ti avrei potuto difendere se non da me stesso? Quella prepotenza lucida che da me usciva, altro non era che dolore e rabbia, e la violenza che in me da sempre si celava – sempre e sempre – non ero io a volerla, ero io a negarla, semmai ucciderla con le mie stesse mani. E così avrei osato toccare un fiore che più delicato non c’era, o un petalo che spargeva il suo amore, quale colpa aveva se non di avere un buon odore?
E io che non conoscevo niente sull’amore, se ciò che avevo avuto erano solo lacrime e rancore, e gli schiaffi sul mio viso non ricordavano carezze, non avrei immaginato tanta strada da fare prima di arrivare ad accettare.
L’unica cosa che avevo era sognare di andare, di fare – tutto quello che per me era sconosciuto, proibito, intentato. In quella dipendenza si nascondeva dunque il mio amore. Non poter restare senza.
Ma ora sei tu che mi apri gli occhi ed anche il cuore. Regina del cielo e del mare. Di ciò che mi circonda ed appartiene. Sei tu che mi capisci in quella parte, che nessuno ha voluto mai vedere. Nemmeno io son certo di conoscere la fine. Ma se mai mi salverò, lo dovrò a te.
Agli occhi profondi che hanno saputo entrare, e spalancare. E al contempo rimproverare, me, gli altri, e tutto il mondo. Regina io ti devo ringraziare, se ora so che devo fare. Nel buio non ci voglio più entrare. Dalla grotta uscirò in pieno mare, per poi emergere e nuotare. Senza ferite lasciare.
Noi non saremo mai un contorno, ma un unico meraviglioso suono. Perché ti amo col rumore di un tuono.
(tramite F.E.) 20.8.19