Alessandro Gnani conferma la sua abilità di scrittore che già avevo avuto modo di constatare nel precedente romanzo “La vita semplice”. Sempre originale la trama, particolari le scelte stilistiche tanto da poter risultare rischiose, personaggi borderline e spigolosi con cui non sempre è semplice empatizzare. Eppure il risultato è notevole.
“Il mare di Wuh” è un romanzo che si potrebbe definire distopico ma fino a un certo punto, risultando per tanti aspetti molto vicino alla nostra realtà o a tratti surreale. L’autore gioca sul contraccolpo, perché la placida calma iniziale non sembra far presagire la bomba che dovrà esplodere nel tranquillo mandamento di Hayal. I dialoghi sono da subito pregnanti:
“il benessere cui siamo abituati e che tanto la indispone altro non è che il tranquillo procedere della democrazia lungo i binari del tempo”.
Si passa da una scena all’altra come lo scorrere di un film, conosciamo i vari personaggi che poi verranno ad intrecciarsi, e conosciamo la società perfetta di Hayal: nel mandamento si professa il “maklamismo” ed esistono leggi e precetti molto rigorosi ma democratici; scopriamo che esiste una ronda (termine che riecheggia anche ai nostri giorni) gestita dalla Marescialla e che le prostitute possono esercitare solamente in un determinato luogo, pena la detenzione in una casa di recupero – incuriosisce il fatto che i personaggi femminili (eccezion fatta per la moglie di Mr Wuh) siano abbastanza negativi, o “prostitute” e aspiranti tali o profondamente perfide. (Farà eccezione anche la giovane Herta, ma non svelo perché).
Ecco che a un certo punto, nel mezzo della pace e tranquillità, il “morbo del sesso” sembra impossessarsi di quasi tutti gli abitanti di Hayal, coinvolti in relazioni torbide, sospetti stupri e prostituzione. Mr Wuh, già anziano, si trova a indagare su questi fatti e la confusione regna:
“L’idea dell’unione sessuale come somma di tanti atti distinti, ciascuno bisognoso di consenso, puzza di burocratico. Indietro, uno, due. Pensa ai cultori del sesso estremo. Ogni volta cosa fanno, chiedono al partner ti va bene il bondage, posso un fisting light? Uno, due… al diavolo.”
In questa situazione e con la scusa di doversi difendere dai criminali, la cattiveria aumenta facendo cedere le basi democratiche del mandamento finché tutto rischia di crollare lentamente o quasi… come lo scoprirà il lettore.
Un ritratto assai spietato della nostra società, attenuato però dall’amore vero seppur raro e dalla leggerezza dell’ironia: molto efficaci le scelte dei nomi e i gruppi “Fusbuk” esilaranti.
Il contesto della società apparentemente perfetta mi ha fatto pensare a “The Village” di Shyamalan, ma qui le scene sono meno cupe anche se un certo nichilismo incombe. Insomma alla fine resta la domanda: esisterà mai l’uomo senza la violenza? Al lettore la (non) risposta.
F.E.