Sono tantissimi i film che ci restano impressi per le immagini o per la storia narrata, che ci colpiscono nel profondo lasciandoci un ricordo indelebile, soprattutto se la prima volta li abbiamo visti quando eravamo molto giovani oppure in un momento particolare della nostra vita. In genere sono film forti che non lasciano spazio a momenti sdolcinati e che ci consegnano un messaggio che per noi sarà sempre legato a quel film. Come l’ Attimo Fuggente ci ha impresso il suo “carpe diem” così questo film ci lascia quella frase pronunciata dal protagonista John Merrick:
“La gente ha paura di ciò che non riesce a capire…”
Il deforme John Merrick viene scoperto dal Dottor Treves durante uno spettacolo di strada gestito dal malvagio Bytes. Merrick presenta numerose deformazioni in gran parte del corpo, soprattutto nel capo per via della sua Sindrome di Proteo, tanto da venire soprannominato L’uomo elefante. Nell’incipit del film viene raccontato, in maniera quasi fiabesca, che la madre era stata assalita da un elefante mentre aspettava il bambino.
Per non essere deriso quando cammina in mezzo alla gente comune, Merrick indossa in testa un sacco bucato cucito ad un cappello, in modo tale da coprire in parte le deformità del viso e della testa. Bytes si ritiene il proprietario di Merrick, tanto che vuol essere pagato per cederlo al Dr. Treves, che per un breve periodo lo porta al suo ospedale per esporre la sua fisicità ai colleghi. Appena Merrick fa ritorno dal suo “proprietario”, il quale è in stato di ebbrezza, questi lo picchia violentemente. Treves giunge in aiuto del povero uomo e lo riporta in ospedale per tenerlo in cura e se possibile aiutarlo.
Questo è l’inizio del film, dove il regista ci porta sapientemente dentro la storia – tratta da alcuni libri – con il punto di vista del Dottor Treves, un giovanissimo Anthony Hopkins. Di grande forza proprio la scena in cui il medico vede per la prima volta il povero deforme, e ne è talmente colpito da commuoversi. Come se da lui arrivasse la sofferenza dello stato in cui si trova, degli occhi di chi costantemente lo deride, dell’essere ritenuto stupido e inetto solo per il suo aspetto.
Certamente il dottor Treves si commuove dunque di fronte all’aspetto orripilante dell’Uomo Elefante ma da medico si pone anche domande etiche: forse anche lui, nel prendersi cura del malato John Merrick, si doveva considerare alla stessa stregua di chi, approfittando del suo aspetto, ne faceva un fenomeno da baraccone? È vero che il Dr Treves è attratto dal suo paziente per interesse scientifico, ma in ogni caso sarà grazie al suo aiuto se John Merrick, nonostante la sua deformazione, riuscirà a vivere in una pseudo-normalità in cui verrà accettato per le sue qualità di uomo. Ma se nella scena finale di Elephant Man il diverso raggiungerà l’agognata normalità riuscendo a coricarsi in un letto come tutti gli altri, questo raggiungimento non è concesso ad altri diversi. Ad esempio Dracula: mostro da sempre, egli sarà per sempre diverso, fino alla morte, quando finalmente troverà la pace interiore “in un mondo che l’ha dipinto come mostro senza nemmeno tentare di comprenderne la vera essenza”.
Eccellente interpretazione – nomination agli Oscar per John Hurt, scomparso nel 2015 – e primo film di David Lynch di cui mi innamorai (il suo secondo, dopo Eraserhead). Fino a seguirlo nelle sue strade perdute.